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Cerchio di Pietro Cavallini - San Bartolomeo - Affresco del XIV secolo
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Affresco trasferito su tela
Umbria, XIV secolou202866.5 x 40 cm
Provenienza:
Collezione di Raymond Van Marle (L'Aia, 1887 - Perugia, 1936), Solomeo (Perugia, Italia)
Bibliografia:
Fondazione Federico Zeri - Università di Bologna; Archivio fotografico Federico Zeri n. 10429
Alinari - Archivio Brogi: BGA-F-025726-0000
Fotografo: Brogi, 1936, Corciano, Solomeo, collezione privata di Raymond Van Marle
San Bartolomeo, uno dei dodici apostoli di Gesù, è qui raffigurato con un libro e un coltello, a simboleggiare il suo martirio per scuoiamento. Secondo la Legenda Aurea, l'aspetto del santo è descritto come segue: "I suoi capelli sono neri e croccanti, la sua pelle chiara, i suoi occhi larghi, il suo naso regolare e dritto, la sua barba folta con alcuni capelli grigi; è di media statura".
Questo affresco cattura un delicato realismo nelle rughe del viso, nei capelli e nei drappeggi del santo, evocando i sussurri nascenti dell'arte rinascimentale. Il trattamento lineare bizantino del panneggio è ridotto al minimo, sostituito da una modellazione arrotondata, mentre la tradizionale definizione lineare dei tratti del viso viene completamente abbandonata. L'opera dimostra una chiarezza spaziale senza precedenti e un approccio scultoreo, con un uso direzionale della luce che modella e rivela la figura piuttosto che decorarla semplicemente.
L'ambizione dell'artista di superare la piattezza caratteristica della pittura italiana del XIII secolo è evidente nella plasticità volumetrica delle forme. Lo stile di Pietro Cavallini integra elementi classici romani con la tradizione artistica bizantina, insieme a influenze gotiche settentrionali, creando un approccio alla pittura vivido e naturalistico.
Attribuzione:
L'affresco fu attribuito per la prima volta a Pietro Cavallini da Raymond Van Marle, che pubblicò una monografia sul pittore nel 1921. Questa ipotesi è stata successivamente confermata da Federico Zeri, un importante storico dell'arte italiano, che ha catalogato l'opera nel suo archivio fotografico dell'Università di Bologna. Zeri lo attribuisce a un artista umbro influenzato da Cavallini, che lavorava al suo fianco.
Questa attribuzione si allinea a discussioni più ampie sugli affreschi di Assisi, che Bruno Zanardi attribuisce a Pietro Cavallini e alla sua cerchia. Mentre Giorgio Vasari attribuisce gli affreschi di Assisi a Giotto, sostenendo che sia stato lui da solo a dare inizio al Rinascimento, Zanardi e Zeri suggeriscono che Cavallini abbia collaborato con artisti umbri locali, influenzando profondamente la produzione artistica della regione.
L'analisi dettagliata di Zanardi delle tecniche e dei materiali utilizzati negli affreschi di Assisi supporta questa conclusione. A differenza della storia dell'arte tradizionale, che si basa sulla valutazione stilistica, la metodologia di Zanardi ha esaminato le composizioni chimiche, le pratiche di laboratorio e le tecniche di pennellata, rafforzando l'influenza di Cavallini sul progetto.
Contesto storico:
Per gran parte del XX secolo si pensava che nessun dipinto di Cavallini fosse sopravvissuto e il suo lavoro era conosciuto principalmente attraverso le Vite di Vasari, che lo identificavano erroneamente come discepolo di Giotto. Panofsky suggerì in seguito che Cavallini, così come Cimabue, poteva affermare di essere il maestro di Giotto, data la sua esperienza romana di trasformazione.
Le opere più famose di Cavallini, come gli affreschi di Santa Cecilia in Trastevere, a Roma (1290 circa), rivelano le sue tendenze classicheggianti e la sua padronanza delle armonie cromatiche e delle ombreggiature morbide. Questi affreschi, in particolare gli apostoli seduti, esemplificano la sua capacità di definire lo spazio con forme solide e tridimensionali. Più tardi, a Napoli, Cavallini assorbì le influenze gotiche sotto il patrocinio di Charles d'Angiò.
Sebbene molte delle opere romane di Cavallini siano andate perdute, la sua eredità sopravvive attraverso i suoi studenti e i loro contributi alla pittura italiana medievale. La riscoperta degli affreschi di Santa Cecilia di Cavallini ha segnato una svolta, portando gli studiosi a riconoscere il suo ruolo centrale nella rinascita artistica di Roma prima di Giotto. Le sue figure maestose, intrise di peso e volume, sono un ponte tra la tradizione bizantina e lo stile naturalistico rinascimentale.
Margaret Field ha riassunto in modo appropriato l'influenza di Cavallini, affermando: "Cavallini è stato per la scuola romana ciò che Giotto è stato per quella Florentine e Duccio per quella senese".
Provenienza e significato storico:
Questo affresco proviene dalla prestigiosa collezione di Raymond Van Marle, uno storico dell'arte e conoscitore che viveva a Perugia. Van Marle, scrittore e ricercatore prolifico, è autore del fondamentale Sviluppo delle Scuole di Pittura Italiane (21 volumi) e di numerosi studi sull'iconografia. La sua collezione, compreso questo affresco, è stata documentata nell'archivio Alinari-Brogi nel 1936.
I contributi di Van Marle alla storia dell'arte sono stati rivoluzionari. An He sottolineò l'importanza di combinare la ricerca d'archivio con la conoscenza e fece spesso nuove scoperte e attribuzioni. La sua conoscenza enciclopedica e il suo approccio umanista gli valsero paragoni con Erasmo da Rotterdam.
Questo affresco, con la sua provenienza documentata e il suo significato storico, rappresenta un collegamento vitale nell'evoluzione dell'arte italiana medievale e del primo Rinascimento, unendo gli stili di Pietro Cavallini e dei suoi contemporanei.
- Dimensioni:Altezza: 66,5 cm (26,19 in)Larghezza: 40 cm (15,75 in)Profondità: 2 cm (0,79 in)
- Stile:Medievale (Del periodo)
- Materiali e tecniche:
- Luogo di origine:
- Periodo:
- Data di produzione:14° secolo
- Condizioni:Sostituzioni effettuate: Affresco trasferito su tela. Usura compatibile con l’età e l’utilizzo.
- Località del venditore:Bruxelles, BE
- Numero di riferimento:1stDibs: LU6666242566032
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