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Dipinto italiano del XVII secolo di Pier Francesco Cittadini, Giacobbe e la sua famiglia
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Pier Francesco Cittadini (Milano, 1616-Bologna, 1681)
"Giacobbe e la sua famiglia vanno in Egitto
Olio su tela, cm 109 x 190 (solo tela)
Il prezioso dipinto, realizzato a olio su tela, raffigura Giacobbe e la sua famiglia che si recano in Egitto e riteniamo che possa essere, data l'alta qualità del dipinto, opera autografa dell'italiano Pier Francesco Cittadini (Italia Milano, 1616 - Bologna, 1681) realizzata dopo il 1647. L'opera, in ottimo stato di conservazione, è accompagnata da una cornice coeva in legno finemente intagliato e dorato.
La scena raffigurata, che negli anni passati veniva confusa con la Fuga in Egitto, viene invece identificata con l'episodio biblico del viaggio di Giacobbe. In primo piano, leggendo il dipinto da sinistra a destra, vediamo una carovana composta da animali, tra cui asini, dromedari, capre, cani e cavalli e persone, donne, uomini e schiavi, che proseguono il loro viaggio lungo le rive di un fiume, seguendo un sentiero che, a destra, sembrerebbe portare al passaggio di un ponte. Oltre al corso d'acqua viene descritto un ambiente caratterizzato da grandi rocce e impermeabili che arrivano a coprire l'intera verticalità della tela. A sinistra, in lontananza, vediamo la coda della carovana che percorre il ripido sentiero. Grandi alberi ravvivano e armonizzano l'ambiente, così come nuvole bianche e grigie caratterizzano il cielo prevalentemente sereno e illuminato sulla destra dalla luce del sole.
La storia è raccontata nella Bibbia, Libro della Genesi, 30, 25, passo in cui viene descritta la fuga di Giacobbe da Haran dopo i contrasti con Labano, padre di sua moglie Rachele. Giacobbe è il terzo grande patriarca della Bibbia. Dalla sua discendenza hanno origine le dodici generazioni del popolo di Israel. È il figlio di Isacco e di Rebecca, che lo portò a fuggire dall'ira di Esaù verso Haran per cercare rifugio dal fratello Labano. A casa dello zio, Giacobbe incontrò sua figlia Rachele. Non appena vide suo cugino, Giacobbe fu rapito. Giacobbe rimarrà sette anni al servizio di Labano per sposare la sua amata Rachele. Ma Labano, con un inganno, gli darà in sposa prima Lia, la figlia maggiore meno bella, e solo dopo altri sette anni la splendida Rachele. Dalla prima moglie avrà diversi figli, mentre Rachele darà alla luce il figlio prediletto, Giuseppe, che diventerà viceré d'Egitto.
Dopo anni di servizio, Giacobbe chiese di essere pagato con ogni indumento di colore scuro tra le pecore e con ogni indumento maculato e punteggiato tra le capre. Labano accettò e mandò via dai suoi figli tutti i capi di quel genere. Allora Giacobbe prese dei rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, li scorticò e li mise negli abbeveratoi. La suggestione ottica induceva le capre e le pecore a concepire e dare alla luce capi scuri, a righe e a pois. Inoltre, si assicurò che tutti i capi più forti e sani del gregge di Labano bevessero vicino ai rami scortecciati, assicurando così una superiorità genetica alla sua parte di gregge. Le sue greggi divennero numerose e forti ed egli divenne più ricco del suo parente, suscitando invidia. Era chiaro che Labano non lo avrebbe rispettato ancora a lungo. Su suggerimento del Signore, Giacobbe decise di tornare a Canaan. Cercando di evitare ogni possibile controversia, partì con la sua famiglia mentre Labano era assente per la tosatura delle pecore. Ma quando, tre giorni dopo, lo zio tornò a casa, si arrabbiò, sentendosi offeso perché Giacobbe era andato di nascosto e non gli aveva permesso di salutare le figlie e i nipoti. Inoltre, i suoi teraphim, statuette o idoli che raffiguravano le divinità della famiglia, erano scomparsi. Dopo 7 giorni di inseguimento, Labano e i suoi uomini raggiunsero il gruppo di Giacobbe sul Monte Galaad, nella regione montuosa a ovest del fiume Eufrate, dove lo zio e il nipote ebbero una conversazione burrascosa. L'uomo più giovane era indignato per essere stato accusato di aver rubato degli idoli e disse a Labano di rovistare a piacimento nelle tende della sua famiglia. Nessuno di loro poteva sapere o anche solo immaginare che era stata Rachele a prendere gli idoli e a nasconderli nella sella del cammello. Durante la ricerca, si sedette saldamente sulla sella, scusandosi per non essere riuscita ad alzarsi, "perché di solito mi succede quello che succede alle donne" (Gen 31:35). Quindi il bottino non è stato scoperto.
L'autore di quest'opera si è ispirato alla composizione di un'incisione di Stefano Della Bella (1610-1664) del 1647 circa. L'incisione di Stefano della Bella porta il titolo "Iacob sur ses vieux jours quitte sans fascherie pour voir son filz Ioseph, sa terre et sa patrie" ed è firmata in basso a sinistra "Stefano Della Bella In. et fe." mentre a destra è dichiarato "Cum privil. Regis", cioè con licenza del re.
Stefano Della Bella (Italia - Firenze, 18 maggio 1610-Firenze, 12 luglio 1664) nacque in una famiglia di pittori, scultori e orafi e, rimasto precocemente orfano del padre scultore, si dedicò dapprima all'arte orafa alla scuola di Giovanni Benedetto Castiglione e Gasparo Mola, rivolgendo poi la sua attenzione al disegno e all'incisione. Ben presto iniziò a disegnare figure e a copiare le incisioni di Jacques Callot, che ispirarono i suoi primi lavori. Sotto la protezione dei Medici, in particolare di Don Lorenzo, figlio cadetto del Granduca Ferdinando I, Della Bella ha l'opportunità di fare viaggi di studio a Roma, dove soggiorna dal 1633 al 1636; a Roma conosce incisori ed editori di stampe francesi come Israël Henriet e François Langlois, che influenzano la sua decisione di trasferirsi a Parigi nel 1639, quattro anni dopo la morte di Callot. A Parigi raggiunse presto, grazie alle incisioni commissionate dal cardinale Richelieu, il successo anche mondano; frequentò cortigiani, artisti di teatro e scrittori, pur rifiutando onori troppo opprimenti. Nel 1646-1647 continuò i suoi viaggi nei Paesi Bassi ad Amsterdam, Anversa e Dordrecht. Tornò a Firenze nel 1650 e riprese a lavorare sotto la protezione della corte medicea, lavorando per i suoi mecenati. Nel 1656 divenne membro dell'Accademia degli Apatisti.
Il dipinto oggetto di questo studio è ragionevolmente attribuibile a Pier Francesco Cittadini, o Pierfrancesco Cittadini, detto il Milanese o il Franceschino (Italia - Milano, 1616-Bologna, 1681) come possono dimostrare alcuni confronti stilistici esemplari proposti di seguito.
Pier Francesco Cittadini è stato un pittore barocco italiano, attivo principalmente a Bologna.
La sua formazione artistica avvenne inizialmente con il pittore Daniele Crespi; successivamente, nel 1634, si trasferì a Bologna, dove seguì gli insegnamenti di Guido Reni. Si trasferì poi a Roma, dove ottenne commissioni anche da Luigi XIV, grazie al successo ottenuto con nature morte e paesaggi.
Nel 1650 tornò a Bologna, dove il 19 giugno 1653 sposò Giulia Ballarini, dalla quale ebbe molti figli e di cui almeno tre, Carlo Antonio, Angelo Michele e Giovanni Battista, seguirono le orme del padre. Le sue opere sono conservate in importanti musei e collezioni, come Villa Estense di Sassuolo, Bologna, coll. Giovannini, Galleria Estense di Modena, Pinacoteca civica di Bologna, Galleria nazionale d'arte antica di Trieste, Pinacoteca civica di Forlì.
Il dipinto in questione, di alta qualità pittorica, appartiene sicuramente al corpus di opere importanti dell'artista, in cui troviamo raffigurata la figura femminile con il turbante che il pittore ama inserire più volte nei suoi quadri.
Caratteristica è anche la palette cromatica, caratterizzata da colori saturi, brillanti e pieni, così come il particolare trattamento del cielo con nuvole striate e blu intenso.
Osservando l'ambientazione della tela in questione e la descrizione del paesaggio, i rilievi rocciosi e i giochi dei livelli più prospettici è possibile proporre qualche impaginazione simile, in cui sono presenti anche soggetti che si prestano a una descrizione analoga, come carovane di viandanti e armenti o il "Ritorno dall'Egitto" del Museo Puskin.
Interessante è anche un Citizen's China Drawing, conservato presso la Royal Collection Trust, in cui uno studio per un paesaggio sembra molto vicino a quello poi raffigurato nella tela, con alberi che fanno da sfondo alla scena, grandi rilievi rocciosi disposti in modo molto simile alla versione finale. Resta inteso che per i Cittadini c'è una sensazione autentica del paesaggio, sentito come protagonista non secondario rispetto alle figure.
In conclusione, l'opera, in buono stato di conservazione, è attribuibile a Pier Francesco Cittadini e databile in seguito all'incisione di Stefano Della Bella del 1647, probabilmente realizzata dopo il ritorno a Bologna dell'artista (1650). La tela si aggiunge quindi al corpus di opere di un pittore rappresentativo dello sviluppo della pittura barocca, in particolare di quella bolognese.
Ci scusiamo per eventuali errori di traduzione dall'italiano.
- Dimensioni:Altezza: 145 cm (57,09 in)Larghezza: 214 cm (84,26 in)Profondità: 10 cm (3,94 in)
- Stile:Barocco (Del periodo)
- Materiali e tecniche:
- Luogo di origine:
- Periodo:Metà XVII secolo
- Data di produzione:Metà del XVII secolo
- Condizioni:Usura compatibile con l’età e l’utilizzo.
- Località del venditore:IT
- Numero di riferimento:1stDibs: LU4405222557482
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