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XVII secolo, Il martirio dei quattro santi incoronati di Giuliano Dinarelli
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XVII secolo, La condanna e il martirio dei quattro santi incoronati di Giuliano Dinarelli
Metà del XVII secolo, Italia, Bologna
Olio su tela, telaio 84 x 99 cm, solo tela 47 x 61 cm
Il dipinto raffigura la condanna e il martirio dei quattro santi incoronati: Claudio, Nicostrato, Castorio e Sinforio. In primo piano a destra, dietro una tenda e sollevata da tre gradini di pietra, siede la figura di un re con un braccio alzato in atto di comando: è l'imperatore Diocleziano mentre pronuncia la sentenza, indicando una scultura classica del dio Apollo. Davanti a lui vengono condotti due uomini con le braccia legate. Alla sinistra del re, altri due uomini, forse parte della tribuna, prendono parte alla scena.
A sinistra, al secondo piano, due uomini, inginocchiati e con le braccia legate sulla schiena, stanno subendo il martirio, come indica il gesto feroce dell'uomo che a braccia alzate impugna una lunga spada, poco prima del massacro. Accanto ad essa, un gruppo di persone e soldati armati osservano; in cielo un putto alato porta la palma del martirio. I soggetti sono raffigurati in abiti storici e la scena in primo piano è ambientata all'interno di un palazzo con pavimento in marmo. Un giullare siede sui gradini e gioca con un cucciolo.
Claudio, Nicostrato, Castorio e Sinforiano, rappresentati nell'opera due alla presenza di Diocleziano e due durante il martirio, erano abili scalpellini. Secondo la tradizione agiografica (è il Sacramentario Gregoriano del VII secolo a offrire qualche scarna notizia) lavoravano nelle cave di marmo e porfido di Sirmium in Pannonia (l'attuale città serba Sremska Mitrovica). La loro abilità li faceva ritenere, dai loro compagni di lavoro, dei maghi perché, prima di iniziare un lavoro, tracciavano segni di croce, recitando inni e preghiere, scambiati per formule magiche. L'imperatore Diocleziano si recò in Pannonia per trovare i marmi per i suoi edifici, ne ammirò la qualità artistica e ordinò le colonne e gli elementi decorativi per il suo palazzo di Spalato, in Dalmazia, che costruì tra il 293 e il 305 d.C.. Tuttavia, un giorno gli commissionò, oltre a geni, vittorie e figure mitologiche, una statua di Esculapio, il dio della salute. I quattro artisti, essendo segretamente cristiani, eseguirono tutto ciò che era stato loro richiesto, ma non la statua della divinità pagana, che si rifiutarono di realizzare. Interrogati direttamente dall'imperatore, confessarono la loro religione. Furono processati e flagellati dal tribuno Lampedio, affinché abiurassero la loro fede. Di fronte al loro rifiuto, furono rinchiusi in casse di piombo e gettati nelle acque del fiume Danubio. Simpliciano, un cristiano e loro compagno di lavoro, recuperò i suoi resti cercando di seppellirlo. Sorpreso dal gesto, anche lui fu condannato a morte. Nel Medioevo divennero mecenati di muratori, scalpellini, scultori e imprese edili. La rappresentazione della loro condanna e del loro martirio è piuttosto rara in pittura. Tuttavia, è possibile delineare la sua iconografia, in cui si evidenziano alcune caratteristiche: il numero di martiri, l'imperatore che indica l'idolo e la palma del martirio. La scena raffigurata nell'opera studiata, quindi, ritrae Diocleziano nell'atto di mostrare la statua, in questo caso del dio Apollo, che gli scalpellini si rifiutano di adorare. A destra ha luogo il vero martirio: due dei santi vengono flagellati e finiti con colpi di spada, mentre dal cielo un angelo consegna la palma identificativa del martirio. La statua raffigurata è da identificare con quella di Apollo Citaredo, contraddistinta dall'arpa e dal mantello (camino). Esistono diverse sculture greco-romane che lo raffigurano con diverse varianti compositive, una delle quali potrebbe essere stata interpretata liberamente dal pittore.
Sul retro della tela, è applicata al telaio un'etichetta che riporta l'iscrizione con calligrafia antica "Giuliano Dinarelli Ping(eb)it". L'opera è quindi già assegnata al pittore bolognese Giuliano Dinarelli (1614-1629). Il confronto stilistico con le opere dell'artista suggerisce questa probabile attribuzione, anche se il corpus di alcune opere attribuite a Dinarelli è ancora oggi molto scarso.
Le informazioni sulla vita del pittore, che sappiamo essere stato un carissimo allievo di Guido Reni, sono altrettanto scarse. Dinarelli nacque a Bologna, fratello di Taddea Dinarelli, madre di Giovanni Bologna. Quest'ultimo si formò nella bottega dello zio, prima di terminare gli studi di pittura con Giovanni Maria Viani.
Lanzi annovera Giuliano Dinarelli tra gli allievi di Guido Reni e nell'inventario del conte Antonio Baglioni del 1680, sono riportate le sue opere due ottavi con Sante. Tra le opere conosciute c'è anche il dipinto raffigurante l'angelo custode realizzato intorno al 1660 e conservato nel pilastro tra la settima e l'ottava cappella a destra della Chiesa di Santa Maria dei Servi, a Bologna. L'opera è ricordata in tutte le fonti storiche e le guide della città ed è, nel corpus delle opere conosciute del pittore, la più famosa. Dinarelli viene ricordato attivo a Bologna e specializzato in scene religiose. La Diocesi di Imola conserva alcuni dipinti del pittore che raffigurano un Ecce Homo, una Madonna Addolorata, San Pietro e Santa Maria Maddalena. Attraverso la lettera di Ferdinando Cospi a Leopoldo de' Medici del 1675, veniamo anche a conoscenza di un ritratto di donna che lo stesso Cospi mette in vendita, sostenendo di essere un'opera An He fatta da un maestro che conobbi poco tempo fa morto chiamato Giuliano Dinarelli, uno dei bravi allievi di Guido Reni che dipingeva molto bene e imitava il suo maestro.
L'esistenza di un dipinto di Dinarelli, il ritratto di Antonio Colonna, è la prova di una commissione prestigiosa e, quindi, di un riconoscimento artistico che il pittore aveva presso la nobiltà dell'epoca.
L'opera, in buone condizioni e recentemente restaurata, è arricchita da un'importante cornice coeva, intagliata e dorata.
Ci scusiamo per eventuali errori di traduzione dall'italiano.
- Attribuito a:Carlo Piacenza (Artista)
- Dimensioni:Altezza: 84 cm (33,08 in)Larghezza: 99 cm (38,98 in)Profondità: 10 cm (3,94 in)
- Stile:Barocco (Del periodo)
- Materiali e tecniche:
- Luogo di origine:
- Periodo:Metà XVII secolo
- Data di produzione:Metà del XVII secolo
- Condizioni:
- Località del venditore:IT
- Numero di riferimento:1stDibs: LU4405218781842
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Mostra tuttoAlberto Carlieri, Capriccio con Cristo e l'adultera, Olio su tela
Di Alberto Carlieri
Alberto Carlieri (Italia-Roma 1672-1720), "Cristo e l'adultera",
Olio su tela, con cornice cm H 115 x L 151 x 6,5, solo tela H 98,5 x L 135 cm
buone condizioni di conservazione
Il grande e bellissimo dipinto, realizzato a olio su tela, rappresenta un capriccio architettonico con in primo piano un possente edificio con archi, di cui si vedono due arcate. Grandi colonne e pilastri in stile ionico e corinzio slanciano e alleggeriscono l'architettura, contraddistinta da una cornice a forma di fiore su cui poggiano alcune sculture in marmo. Sullo sfondo puoi vedere un colonnato strutturalmente più aggraziato, con balaustra e sculture, ornato da Greene & Greene smussati che conferiscono un aspetto pittoresco alla tela. Oltre agli archi del colonnato vediamo descritta in lontananza una grande città seicentesca con case turrite. Il paesaggio sfuma all'orizzonte verso un cielo azzurro segnato da soffici nuvole.
L'architettura scenica è animata, in primo piano, da alcune figure. Si tratta di una scena della Bibbia: la Pericope dell'adultera (popolarmente conosciuta come l'episodio di Gesù e l'adultera), un brano del Vangelo secondo Giovanni (8:1-11) in cui una donna colta in adulterio viene portata davanti a Gesù dagli scribi e dai farisei per conoscere la sua opinione sulla condanna alla lapidazione.
Gesù si chinò e con il dito iniziò a scrivere per terra. E poiché i farisei insistevano, egli alzò il capo e rispose: "Chi è senza peccato scagli per primo una pietra contro di lei". Poi si chinò di nuovo e continuò a scrivere per terra. Quando udirono queste parole, tutti, tranne la donna che aspettava, se ne andarono; Gesù si alzò e le chiese: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannato?". An He rispose: "Nessuno, Signore". Gesù le disse: "Neanche io ti condanno, va' e non peccare più".
Il capriccio architettonico, un genere artistico che si è fatto strada nella pittura italiana a partire dal XVII secolo, è caratterizzato dalla rappresentazione di architetture fantastiche o invenzioni di tipo prospettico, talvolta combinate con elementi tratti liberamente dalla realtà. La grande tela in questione ha un notevole interesse artistico. L'architettura d'invenzione conferisce una solenne classicità al luogo; crea giochi di luci e ombre e fa da cornice alla scena.
L'opera, dipinta con grande finezza anche nei dettagli e nelle piccole figurine, è certamente attribuibile al famoso pittore romano Alberto Carlieri (Roma, 1672 - 1720), l'autore più apprezzato e richiesto a Roma tra la morte di Giovanni Ghisolfi (Milano 1623-1683) e l'affermazione di Giovanni Paolo Panini (Piacenza 1691 - Roma 1765). Nell'opera oggetto di questo studio si possono trovare motivi stilistici comuni alle sue opere. Elementi caratteristici sono le suggestive disposizioni compositive e la notevole maestria nella direzione delle luci, così come la ricchezza dell'architettura e la raffinata quanto minuziosa descrittività dei dettagli. Peculiare dell'autore è anche l'atteggiamento vivace delle figure, risolto con disinvoltura nell'uso del colore e inserito armoniosamente nell'architettura.
Carlieri nacque a Roma nel 1672 e iniziò a studiare la pittura di architettura sotto la guida di Giuseppe de Marchis. An He divenne allievo e poi collaboratore di Andrea Pozzo. Presente nei più illustri dipinti romani...
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Alberto Carlieri, Pittura con Capriccio Architettonico
Di Alberto Carlieri
Alberto Carlieri (Roma 1672-1720)
"Capriccio architettonico con la predicazione di San Paolo nell'Areopago di Atene"
Olio su tela, misure con cornice L 172 x H 127 x P 10,5 (solo tela cm L 135 x H 99)
Il grande e interessantissimo dipinto a olio su tela raffigura un capriccio architettonico con la predicazione di San Paolo nell'Areopago di Atene. L'opera è attribuibile al famoso pittore italiano Alberto Carlieri (Roma 1672-1720).
La composizione è caratteristica dell'espressione artistica di Carlieri. Il soggetto raffigurato, ovvero La predica di San Paolo, è ambientato tra potenti resti architettonici di fantasia, chiamati "Capriccio architettonico". Il capriccio architettonico, un genere artistico che si è fatto strada nella pittura italiana a partire dal XVII secolo, è caratterizzato dalla rappresentazione di architetture fantastiche o invenzioni di tipo prospettico, talvolta combinate con elementi tratti liberamente dalla realtà.
La tela in questione ha un notevole interesse artistico e una qualità pittorica significativa. La spettacolare architettura d'invenzione conferisce una solenne classicità al luogo, amplificata dai giochi di luce e ombra, che fungono da teatro e da cornice alla scena.
In primo piano, un colonnato parzialmente crollato emerge dall'ombra sulla destra, mentre sulla sinistra sono accatastate a terra parti di colonne tra cui un capitello di ordine corinzio. I personaggi sono al centro della tela, sullo sfondo.
Tutto intorno sono descritti i resti di edifici classici, caratterizzati da uno stile composito, colonne lisce, capitelli corinzi, trabeazione con metope e fregi dorici. A destra c'è un sepolcro e ancora oltre un grande vaso di marmo scolpito con bassorilievi. A chiudere l'ambiente architettonico c'è un possente edificio con arco e grande arco, bassorilievo con soldati romani, pilastri e colonne composite. Il verde ha raggiunto il suo massimo splendore, dando un aspetto pittoresco alla tela. Il paesaggio sfuma fino all'orizzonte, dove puoi vedere una baia, il mare e un promontorio descritto con toni blu. Il cielo limpido e azzurro è caratterizzato da nuvole soffici e grigie di colore rosa.
La scena descritta è il sermone di San Paolo nell'Areopago di Atene. San Paolo è chiaramente riconoscibile per alcuni elementi che appartengono alla sua iconografia tradizionale: raffigurato calvo, con una lunga barba e una forma allungata, indossa una tunica verde con un mantello rosso e impugna, qui con la mano sinistra, una spada con una punta a terra. La spada, simbolo di potere, ha una doppia interpretazione: allude sia alla decollazione, o al martirio di San Paolo, sia al potere della fede e della proclamazione della parola divina. Infatti, Paolo parlò ai gentili, i popoli di cultura greco-latina, considerati pagani dagli ebrei, della "spada dello Spirito, cioè la parola di Dio" (Ef. 6:17). La spada fa parte dell'armatura spirituale che Paolo dice di indossare per poter combattere efficacemente il male.
La scena è ispirata al momento in cui Paolo tiene un discorso ad Atene all'Areopago (in Atti 17:16-34). È uno dei momenti più drammatici e dettagliati della carriera missionaria di San Paolo.
L'Apostolo aveva incontrato opposizione nella sua predicazione a Tessalonica e a Berea, nel nord della Grecia e, tra la fine del 49 e l'inizio del 50, si recò ad Atene per mettersi al sicuro. Afflitto nel vedere Atene piena di idoli, Paolo si reca all'Areopago, l'alto tribunale di Atene, per spiegare ciò che sostiene. "Areopago" significa letteralmente "Roccia di Ares"; era un luogo in cui sorgevano templi, strutture culturali ed era l'alta corte della città. Il discorso di Paolo si basa su cinque punti principali: l'ignoranza dell'adorazione pagana; l'oggetto dell'adorazione è l'unico Dio Creatore; la relazione di Dio con l'umanità; gli idoli d'oro, d'argento e di pietra come oggetti di falsa adorazione; e per concludere, è ora di porre fine all'ignoranza. Questo discorso è uno dei primi tentativi di spiegare la natura di Cristo ed è un primo passo nel percorso che porta allo sviluppo della cristologia.
L'opera, dipinta con grande finezza anche nei dettagli e nelle piccole figurine, è sicuramente attribuibile all'importante pittore romano Alberto Carlieri (Roma, 1672 - 1720) perché si possono trovare motivi stilistici comuni alle sue opere. Elementi caratteristici sono le suggestive disposizioni compositive e la notevole maestria nella direzione delle luci, così come la ricchezza dell'architettura e i raffinati, quanto minuziosi, dettagli descrittivi. Peculiare dell'autore è anche l'atteggiamento vivace delle figure, risolte con disinvoltura nell'uso del colore e inserite armoniosamente nell'architettura.
Carlieri nacque a Roma nel 1672 e iniziò a studiare la pittura di architettura sotto la guida di Giuseppe de Marchis. An He divenne allievo e poi collaboratore di Andrea Pozzo. Presente nei più illustri dipinti romani...
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