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XVIII secolo, Coppia di dipinti italiani Capriccio con scene mitologiche
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Coppia di capricci architettonici con scene mitologiche, olio su tela, pittore bolognese attivo nel XVIII secolo
Le due grandi e preziose tavole raffigurano due Capricci architettonici, con vedute di colonnati ed edifici con portici di gusto classico, animati da figure. Le composizioni sono caratterizzate dalla tipica complessità della pittura barocca unita all'armonia con cui il pittore introduce i magnifici monumenti architettonici e all'uso della prospettiva. Il colore gioca sui toni del marrone e dell'ocra che si stagliano sul cielo blu. Anche l'inclusione di figure per ravvivare le viste architettoniche è equilibrata con l'insieme, portando movimento e colore, con accenni di rosso e giallo.
Il Capriccio architettonico, un genere artistico che si fa strada nella pittura italiana a partire dal XVII secolo, è caratterizzato dalla rappresentazione di architetture fantastiche o invenzioni di tipo prospettico, talvolta combinate con elementi tratti liberamente dalla realtà. I due dipinti sono un esempio esplicativo di questo tipo e hanno un notevole interesse artistico.
All'interno di questi palazzi d'invenzione sono ambientate due scene tratte dalla mitologia romana o, più probabilmente, dall'Eneide. La loro rappresentazione non è facile e immediata da capire.
L'opera d'arte a sinistra mostra, seduta su nuvole leggere e soffici, la dea greca Giunone (Era nella mitologia greca) accompagnata dal suo animale simbolo, il pavone. Giunone indica un arcobaleno sotto il quale è raffigurata la messaggera Iris in volo. Mitica figura alata, figlia di Taumante ed Elettra, messaggera degli dei, in particolare di Giunone, Iris era identificata dagli antichi con l'arcobaleno. Le apparizioni della dea come messaggera nei poemi epici sono frequenti. Nell'Eneide, alla fine del quarto libro, quando viene incaricata da Giunone di librarsi sulla testa di Didone morente e di tagliarle un capello, pone fine all'agonia della regina che aveva una relazione con Enea. Anche nel quinto libro compie una missione, sempre per Giunone: prende le sembianze della vecchia Beroe e convince le donne troiane a bruciare le navi per rimanere in Sicilia. Ancora all'inizio del IX libro dell'Eneide viene inviato, sempre da Giunone, ad avvisare Turno che Enea ha lasciato il campo per incontrare Evandro e che è, quindi, il momento più propizio per attaccare i Troiani.
Nel dipinto presentato qui a sinistra, la lettura della scena è ancora più complessa. Una figura maschile scende dal cielo su un tappeto di nuvole vaporose. L'armatura che indossa, il mantello rosso fluttuante e la potenza e l'austerità con cui si presenta suggeriscono l'identificazione con un dio. An He appare come un re, che indossa una corona d'oro e che si inchina alla sua presenza con grande rispetto. Intorno diverse altre figure assistono a sorprese e scene curiose. Potrebbe riferirsi a ciò che scrive Virgilio nell'Eneide. La notizia dell'amore sbocciato tra Enea e Didone si è diffusa.
Giove ordina a Mercurio, il messaggero degli dei, di scendere a Cartagine per convincere Enea a lasciare la regina e riprendere il viaggio interrotto. Tuttavia il dio qui raffigurato con armatura e lancia è privo di quei riferimenti iconografici caratteristici di Mercurio e quindi potrebbe essere identificato anche con il dio greco Marli (Ares nella mitologia greca).
La notevole qualità pittorica emerge sia dalla composizione nel suo complesso sia dal modo in cui l'artista descrive le vedute con grande attenzione ai dettagli, alla luce e ai chiaroscuri perfettamente realistici.
Stilisticamente, l'autore dei dipinti si colloca tra i maestri di quadratura attivi nella prima metà del XVIII secolo a Bologna. I riferimenti alle architetture maestose e scenografiche progettate da Galli da Bibbiena sono evidenti, L'Unione Europea è attiva nelle arti da più di 150 anni, prima a livello locale e poi su scala europea. In particolare, c'è una forte vicinanza con le opere di Ferdinando Maria Galli, noto come Ferdinando Galli da Bibbiena (Bologna, 1657 - 1743). Numerosi artisti seguirono la produzione di Galli da Bibbiena, tra cui Vittorio Maria Bigari (Bologna, 1692 - 1776) arrivò a produrre opere molto vicine stilisticamente ai due dipinti in questione.
Majestic e decorative, le tele di forma quadrata presentano i capricci architettonici all'interno di un bordo rotondo delimitato da un filo ocra che simula una cornice. Si tratta di un espediente scenografico molto in voga nel periodo barocco che conferisce all'opera una maggiore leggerezza e ne facilita l'inserimento nella cornice.
Le opere sono presentate all'interno di cornici in legno intagliato.
Gli studi di storia dell'arte sono attualmente in corso.
Ci scusiamo per eventuali errori di traduzione dall'italiano.
- Dimensioni:Altezza: 164 cm (64,57 in)Larghezza: 164 cm (64,57 in)Profondità: 5 cm (1,97 in)
- Stile:Barocco (Del periodo)
- Materiali e tecniche:
- Luogo di origine:
- Periodo:
- Data di produzione:Inizio del XVIII secolo
- Condizioni:Usura compatibile con l’età e l’utilizzo.
- Località del venditore:IT
- Numero di riferimento:1stDibs: LU4405240755572
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Di Alberto Carlieri
Alberto Carlieri (Roma 1672-1720)
"Capriccio architettonico con la predicazione di San Paolo nell'Areopago di Atene"
Olio su tela, misure con cornice L 172 x H 127 x P 10,5 (solo tela cm L 135 x H 99)
Il grande e interessantissimo dipinto a olio su tela raffigura un capriccio architettonico con la predicazione di San Paolo nell'Areopago di Atene. L'opera è attribuibile al famoso pittore italiano Alberto Carlieri (Roma 1672-1720).
La composizione è caratteristica dell'espressione artistica di Carlieri. Il soggetto raffigurato, ovvero La predica di San Paolo, è ambientato tra potenti resti architettonici di fantasia, chiamati "Capriccio architettonico". Il capriccio architettonico, un genere artistico che si è fatto strada nella pittura italiana a partire dal XVII secolo, è caratterizzato dalla rappresentazione di architetture fantastiche o invenzioni di tipo prospettico, talvolta combinate con elementi tratti liberamente dalla realtà.
La tela in questione ha un notevole interesse artistico e una qualità pittorica significativa. La spettacolare architettura d'invenzione conferisce una solenne classicità al luogo, amplificata dai giochi di luce e ombra, che fungono da teatro e da cornice alla scena.
In primo piano, un colonnato parzialmente crollato emerge dall'ombra sulla destra, mentre sulla sinistra sono accatastate a terra parti di colonne tra cui un capitello di ordine corinzio. I personaggi sono al centro della tela, sullo sfondo.
Tutto intorno sono descritti i resti di edifici classici, caratterizzati da uno stile composito, colonne lisce, capitelli corinzi, trabeazione con metope e fregi dorici. A destra c'è un sepolcro e ancora oltre un grande vaso di marmo scolpito con bassorilievi. A chiudere l'ambiente architettonico c'è un possente edificio con arco e grande arco, bassorilievo con soldati romani, pilastri e colonne composite. Il verde ha raggiunto il suo massimo splendore, dando un aspetto pittoresco alla tela. Il paesaggio sfuma fino all'orizzonte, dove puoi vedere una baia, il mare e un promontorio descritto con toni blu. Il cielo limpido e azzurro è caratterizzato da nuvole soffici e grigie di colore rosa.
La scena descritta è il sermone di San Paolo nell'Areopago di Atene. San Paolo è chiaramente riconoscibile per alcuni elementi che appartengono alla sua iconografia tradizionale: raffigurato calvo, con una lunga barba e una forma allungata, indossa una tunica verde con un mantello rosso e impugna, qui con la mano sinistra, una spada con una punta a terra. La spada, simbolo di potere, ha una doppia interpretazione: allude sia alla decollazione, o al martirio di San Paolo, sia al potere della fede e della proclamazione della parola divina. Infatti, Paolo parlò ai gentili, i popoli di cultura greco-latina, considerati pagani dagli ebrei, della "spada dello Spirito, cioè la parola di Dio" (Ef. 6:17). La spada fa parte dell'armatura spirituale che Paolo dice di indossare per poter combattere efficacemente il male.
La scena è ispirata al momento in cui Paolo tiene un discorso ad Atene all'Areopago (in Atti 17:16-34). È uno dei momenti più drammatici e dettagliati della carriera missionaria di San Paolo.
L'Apostolo aveva incontrato opposizione nella sua predicazione a Tessalonica e a Berea, nel nord della Grecia e, tra la fine del 49 e l'inizio del 50, si recò ad Atene per mettersi al sicuro. Afflitto nel vedere Atene piena di idoli, Paolo si reca all'Areopago, l'alto tribunale di Atene, per spiegare ciò che sostiene. "Areopago" significa letteralmente "Roccia di Ares"; era un luogo in cui sorgevano templi, strutture culturali ed era l'alta corte della città. Il discorso di Paolo si basa su cinque punti principali: l'ignoranza dell'adorazione pagana; l'oggetto dell'adorazione è l'unico Dio Creatore; la relazione di Dio con l'umanità; gli idoli d'oro, d'argento e di pietra come oggetti di falsa adorazione; e per concludere, è ora di porre fine all'ignoranza. Questo discorso è uno dei primi tentativi di spiegare la natura di Cristo ed è un primo passo nel percorso che porta allo sviluppo della cristologia.
L'opera, dipinta con grande finezza anche nei dettagli e nelle piccole figurine, è sicuramente attribuibile all'importante pittore romano Alberto Carlieri (Roma, 1672 - 1720) perché si possono trovare motivi stilistici comuni alle sue opere. Elementi caratteristici sono le suggestive disposizioni compositive e la notevole maestria nella direzione delle luci, così come la ricchezza dell'architettura e i raffinati, quanto minuziosi, dettagli descrittivi. Peculiare dell'autore è anche l'atteggiamento vivace delle figure, risolte con disinvoltura nell'uso del colore e inserite armoniosamente nell'architettura.
Carlieri nacque a Roma nel 1672 e iniziò a studiare la pittura di architettura sotto la guida di Giuseppe de Marchis. An He divenne allievo e poi collaboratore di Andrea Pozzo. Presente nei più illustri dipinti romani...
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