Jonathan Becker Art
Con uno stile d'impatto, riflessivo e irriverente, il fotografo Jonathan Becker appartiene più al regno artistico che a quello documentaristico, catturando magistralmente un senso teatrale dell'inaspettato mentre offre scorci di mondi rarefatti.
Bea Feitler - la defunta e leggendaria direttrice artistica responsabile di aver dato un tocco di stile a Harper's Bazaar e Rolling Stones negli anni '60 e '70 - diede a Becker la sua prima grande occasione, nel 1981, quando gli chiese di presentare delle immagini per il rilancio di Vanity Fair.
Becker, che all'epoca aveva 26 anni, era già stato il primo fotografo parigino della rivista W e aveva stretto amicizia con il fotografo surrealista franco-ungherese Brassaï, che allora aveva 70 anni. A quell'età Becker aveva anche sviluppato un'invidiabile reputazione come fotografo di ritratti lavorando alla rivista Andy Warhol'Interview e al fianco di Slim Aarons e Norman Parkinson presso Town & Country, anche se sapeva di non pestare i piedi ai suoi famosi colleghi. "Ero un piccolo intruso", dice. "Ho imparato di più ascoltando e osservando quei giganti che cercando di interagire direttamente con loro".
Il giovane fotografo, che all'epoca lavorava in nero come tassista a New York, non immaginava che il progetto avrebbe messo le sue immagini sullo stesso piano di quelle delle leggende del medium: A questa edizione di debutto hanno contribuito anche alcuni dei nomi più venerati della fotografia, tra cui Richard Avedon, Irving Penn e Helmut Newton, oltre all'astro nascente Annie Leibovitz, la cui popolarità era recentemente salita alle stelle grazie alla foto di copertina di The Rolling Stones che ritraeva un John Lennon nudo accoccolato accanto a una Yoko Ono completamente vestita.
Quel numero cambiò le carte in tavola nell'editoria moderna, con Vanity Fair che stabilì il punto di riferimento per un editoriale accattivante e un design audace per i decenni a venire. È stato anche il segno della nascita di un uomo: Il talento di Becker per la narrazione visiva brillò nel suo tributo avanguardista e il team creativo della rivista lo tenne con sé, segnando l'inizio della sua lunga carriera.
In qualità di collaboratore regolare di Vanity Fair, Becker ha operato nelle sfere più alte della società, viaggiando in tutto il mondo e immortalando innumerevoli personaggi di spicco, Shakers e pensatori del mondo della moda, della cultura e della politica, per non parlare dei reali.
Il modo non convenzionale di Becker di dirigere il suo occhio è chiaramente istintivo, dando vita a un'estetica insolita che mescola in egual misura percezione, mito e realtà. Questo equilibrio è evidente soprattutto nella sua famosa foto in bianco e nero di Robert Mapplethorpe, scattata nel 1988 in occasione dell'inaugurazione della mostra retrospettiva di Mapplethorpe al Whitney, quando il famoso fotografo stava morendo di AIDS. Si tratta di uno scatto di gruppo, che mostra varie figure in diverse angolazioni, in cui Mapplethorpe, colto di profilo e ascoltando con attenzione una donna inginocchiata accanto a lui, sembra fermare il tempo. Il momento è carico di emozioni e anche onirico. È ineffabilmente surreale.
Becker ci ha regalato Stephen King nei panni di uno zombie strabico (1980); Dustin Hoffman nei panni di un malizioso che si sdraia su una pila di lettini al Beverly Hills Hotel (2004); e Diana Vreeland nei panni di una vecchia Madonna raffaellesca vestita con un voluminoso abito nero e seduta a gambe incrociate nel suo famoso salotto rosso al 550 di Park Avenue (1979). Il fotografo, amante della spontaneità che gioca abilmente con le prospettive, ci incuriosisce con le sue narrazioni aperte.
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Anni 2010 Contemporaneo Jonathan Becker Art
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